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lunedì 21 dicembre 2015

Il Natale ne "Il salotto dei poeti"


www.capelloalvento.blogspot.itC'è un salotto, su facebook, dove amici scrittori si incontrano per condividere pensieri ed emozioni in forma di poesia o racconto: è Il Salotto dei Poeti, gli amministratori sono Stefano Tosin e Carmen Lieto, mia “vecchia” amica di penna. Nell'approssimarsi del Natale hanno lanciato la proposta di scrivere una poesia o un racconto a tema, indicendo una sorta di concorso in cui il premio è la pubblicazione in questo blog. In molti hanno partecipato, le immagini, i sentimenti, i pensieri espressi sono molteplici e tutti molto profondi e toccanti. Ognuno ha messo nel suo componimento un pezzetto della sua anima. Difficile scegliere, preferire, privilegiare. Carmen e Stefano hanno operato la loro scelta. Io sceglierò le poesie che arriveranno più direttamente al mio cuore, ma, tempo permettendo, andrò avanti con la pubblicazione perché credo che ogni anima del salotto meriti il suo spazio. 

La prima poesia da me scelta è: "Babbo", di Aldo CapitanioLa poesia scelta dagli amministratori è: "Litania di Natale", di Anna Maria Domburg-Sancristoforo.
Hanno partecipato all'iniziativa, tra le altre, anchde le poesie: "E tu... Ti vestirai d'azzurro", di Alessio V. Di Meco e "La Vigilia" di Carmen Lieto e il racconto "Una favola di Natale, di Lorena Campiotti"

giovedì 21 marzo 2013

Una mano sul ventre - Racconto breve

 
 
 
Le luci di Bolzano si accendono all’unisono, un coro muto che spande le sue ombre su strade deserte.
Un’ombra cammina tra gli arbusti secchi, lungo un torrente. Cammina su ciottoli asciutti da mesi; ascolta il fruscio lento di acqua stagnante. Cammina, ma non sa dove sta andando.
L’odore di fango punge narici rese insensibili da un persistente raffreddore.
Non è tardi, ma è già buio, sotto il ponte.
Le luci di Bolzano sono accese da qualche minuto, minuti che sembrano ore.
Un autobus è pronto alla stazione, attende i passeggeri per mangiarli: sono loro che gli danno la vita. Ma non c’è nessuno alla fermata. L’autobus riparte vuoto e sconsolato.
L’ombra ora è seduta su un freddo sasso bianco, levigato; avrebbe dovuto prendere quell’autobus. E’ stata accompagnata a pochi metri da lì; ma il suo accompagnatore ha svoltato l’angolo tanto presto da non accorgersi che lei aveva cambiato idea.
Ora è freddo, ha fame.
Ha preso tempo per riflettere, ma non ci riesce, la mente come annebbiata dal fumo della sua sigaretta, dal vapore del suo stesso respiro.
Non sa da quanto tempo è lì, intorpidita, sola, né triste, né felice, assorta in una insensatezza pesante; le sfugge il senso di ogni cosa; le sfugge di mano un anello, simbolo di falsità, scivola nell’acqua gelida: non è profonda, potrebbe riprenderlo; non lo fa.
Scivola una lacrima su una mano aperta e immobile abbandonata su un ginocchio piegato e immobile.
Fugge un singhiozzo ad una gola serrata.
La nebbia nella mente si dirada, i nervi si rilassano e sciolgono in pianto.
Non sa per quanto tempo rompe il silenzio della notte con il suo sfogo, non sa se qualcuno la sente ed ha pena per lei.
Poi ad un tratto il suo lamento cessa.
L’ombra getta via la sigaretta ancora accesa, si alza in piedi, sgranchisce le gambe, stiracchia le braccia. Poggia una mano sul ventre arrotondato e sulle labbra seccate dal freddo sboccia un lieve sorriso.
Guarda l’orologio: il prossimo autobus è tra venti minuti. Non sa cosa accadrà domani. Sa dove andrà; sa che non sarà sola.