Le luci di Bolzano si
accendono all’unisono, un coro muto che spande le sue ombre su strade deserte.
Un’ombra cammina tra gli
arbusti secchi, lungo un torrente. Cammina su ciottoli asciutti da mesi;
ascolta il fruscio lento di acqua stagnante. Cammina, ma non sa dove sta
andando.
L’odore di fango punge narici
rese insensibili da un persistente raffreddore.
Non è tardi, ma è già buio,
sotto il ponte.
Le luci di Bolzano sono
accese da qualche minuto, minuti che sembrano ore.
Un autobus è pronto alla
stazione, attende i passeggeri per mangiarli: sono loro che gli danno la vita.
Ma non c’è nessuno alla fermata. L’autobus riparte vuoto e sconsolato.
L’ombra ora è seduta su un freddo sasso bianco, levigato; avrebbe dovuto
prendere quell’autobus. E’ stata accompagnata a pochi metri da lì; ma il suo
accompagnatore ha svoltato l’angolo tanto presto da non accorgersi che lei
aveva cambiato idea.
Ora è freddo, ha fame.
Ha preso tempo per
riflettere, ma non ci riesce, la mente come annebbiata dal fumo della sua
sigaretta, dal vapore del suo stesso respiro.
Non sa da quanto tempo è lì,
intorpidita, sola, né triste, né felice, assorta in una insensatezza pesante; le
sfugge il senso di ogni cosa; le sfugge di mano un anello, simbolo di falsità,
scivola nell’acqua gelida: non è profonda, potrebbe riprenderlo; non lo fa.
Scivola una lacrima su una
mano aperta e immobile abbandonata su un ginocchio piegato e immobile.
Fugge un singhiozzo ad una
gola serrata.
La nebbia nella mente si
dirada, i nervi si rilassano e sciolgono in pianto.
Non sa per quanto tempo rompe
il silenzio della notte con il suo sfogo, non sa se qualcuno la sente ed ha
pena per lei.
Poi ad un tratto il suo
lamento cessa.
L’ombra getta via la
sigaretta ancora accesa, si alza in piedi, sgranchisce le gambe, stiracchia le
braccia. Poggia una mano sul ventre arrotondato e sulle labbra seccate dal
freddo sboccia un lieve sorriso.
Guarda l’orologio: il prossimo
autobus è tra venti minuti. Non sa cosa accadrà domani. Sa dove andrà; sa che
non sarà sola.